mercoledì 31 marzo 2010

La pratica dell'harakiri e il Maalox in rapporto al karma (e altre amenità)

di Giampiero Cordisco

Raffaele Fitto, ad esempio: lo vedi in uno qualsiasi dei salotti TV e non gli daresti due lire, con quel taglio insopportabile da sedicenne arrivato, gli occhi stretti come uno che sta sempre in procinto di scoreggiare, la pedissequa emulazione del Caro Leader, i tentativi mal riusciti di mascherare l’accento, e compagnia bella. Immagini lo stipendio da onorevole, immagini il cursus honorum passato che lo ha portato fino alla poltroncina bianca nello studio di Vespa, immagini tutto quello che riesci a immaginare facendo andare la già pigra fantasia al minimo dei giri. Però questo signorino arrivato fresco fresco nelle stanze del potere (sperando che la sua decenza lo abbia comunque distolto dal farsi un riposino sul lettone di Putin quando il Piccolo Grande Capo era di buon umore) ha dato una prova, signori, una prova di responsabilità politica: dopo la vittoria di Vendola nelle regionali in Puglia, dopo essersi preso una buona randellata di consensi contrari, dopo aver guidato e appoggiato una lista cui Sua Santità Mentale era contrario in partenza, ha deciso di rassegnare le dimissioni dai propri incarichi istituzionali, ha finalmente rimesso questi incarichi nelle mani grassocce dell’Utilizzatore Finale. Il che non vuol dire nulla, per carità. Già Bertolaso aveva rimesso gli incarichi, ma di fatto è ancora lì con la felpa e lo scudetto e recentemente è apparso in TV dopo la messa del Papa per la Protezione Civile a dire che “la Protezione Civile è questa”, quella seria e dedita allo Stato, inaugurando le nuove frontiere della riabilitazione mediatica italiana, l’autoriabilitazione. Ma comunque, l’omino Raffaele Fitto il suo gesto l’ha fatto, qualcuno dovrà pur dargliene atto, almeno a un livello teorico in cui si scommette su un risultato, il risultato non si consegue, ne consegue dunque che te ne vai. Punto. È un esempio, poi stiamo sempre parlando di Raffaele Fitto.

Parliamo quindi, più in generale, di questo universo semantico che chiamiamo ancora “sinistra”. Anzi no: parliamo solo di Bersani. Quello che parlava (al vento) del vento, che era cambiato, questo vento, che ora tirava da un’altra parte, che Berlusconi doveva proprio preoccuparsi per le raffiche in direzione contraria con cui spirava minaccioso questo ventaccio del Nord, che sarebbero stati affari suoi perché adesso la gente sapeva che il PD (completa la frase a tuo piacimento). Un sacco di previsioni, e cazzate, talmente sganciate dalla realtà che viene da pensare che questo vento fosse tutto concentrato in una tromba d’aria epocale dentro il cranio del segretario PD. Immagino ci sia gente che si aspetta un’assunzione di responsabilità, e fanno bene. Da New York la figlia di Veltroni ha commentato su facebook che aspetta che qualcuno si dimetta, prima che gli venga la gastrite. Povera stella, la figlia di Veltroni nel suo democratico loft affacciato su Central Park deve essere proprio incazzata nera, perdio, qualcuno si dimetta prima che a questa gli si buchi lo stomaco. (A proposito, cocca, ho da poco scoperto il Maalox, ed è una bomba, abbi fede.) Ma Bersani, invece, ha commentato qualcosa come: “Io non parlerei di sconfitta”. Leggevo l’ultimora di Repubblica e credevo di essere su Spinoza. Lui non parlerebbe di sconfitta. Ma è Spinoza? No, è Repubblica. Ripubblica? Ma no: Repubblica, quella vera.

Gli ho mandato una mail per spiegargli che il suo schieramento è quello senza la L, poi gli ho accennato che assumersi delle responsabilità, ammettere le proprie colpe, fare un harakiri morale armato della sincerità più affilata, e di un pizzico di amor proprio, e del rispetto dell’elettorato, e dell’omaggio ormai tardivo verso una storia che è definitivamente sepolta, in queste desolate lande politiche, assumersi delle responsabilità, invece di tirare in ballo un inutile punto di vista relativo ad altrettanto inutili parametri e termini di paragoni elettorali, assumersi delle cazzo di responsabilità, insomma, sarebbe un gesto gradito. E poi fa bene, quando ammetti di aver sbagliato, senti il karma che ti si raddrizza, ti senti in pace, ti svuoti di qualcosa che proprio devi buttare via altrimenti ti inizia a marcire dentro, e in qualche modo puoi ricominciare. Io certe volte sbaglio di proposito così da scendere in strada e fermare il primo sconosciuto che mi capita a tiro e abbracciarlo, sussurrandogli nell’orecchio “è tutta colpa mia, solo colpa mia, ho mancato gli obiettivi, sono stato un cazzone, sono una delusione senza fine”. Eccetera. Poi mi passa. Mi piace talmente tanto il processo liberatorio di sfogare le mie colpe che faccio in modo di trovarmi sempre in una situazione che mi renda necessario questo personale harakiri morale, sbagliando di proposito, imponendomi di fare cazzate, non riconoscendo le specificità delle situazioni, mutilando la mia visione d’insieme che comprende oltre al circo di immagini che mi si agita in testa anche il baluardo roccioso e inamovibile della realtà, mutilandola in senso realifugo.
Proprio come il PD. Il cui segretario non mi ha ancora risposto. Mi sa che il vento tirava bello forte.
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