venerdì 18 dicembre 2009

Questa non è una lettera aperta al Presidente del Consiglio, On. Silvio Berlusconi

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Prima della lettura: lo scritto che segue è scaricabile e stampabile da questo pdf. Nessuno avrà da ridire se per salvare le vostre diottrie rischierete di contribuire alla deforestazione del globo. Tuttavia, usare carta di riciclo è un gesto di intelligenza e di civiltà.
Buona lettura.

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di Giampiero Cordisco

Onorevole signor Presidente,

innanzitutto vorrei esprimerLe il mio personale sollievo per essere stato dimesso dalle cure ospedaliere, e augurarLe di poter progredire rapidamente in quello che sarà a tutti gli effetti un periodo di convalescenza. Naturalmente, Le esprimo tutta la mia solidarietà per i fatti che hanno causato la Sua degenza presso il San Raffaele. Mi sento di sottoscrivere pienamente le parole pronunciate da Sabina Guzzanti (un nome che Lei dovrebbe conoscere fin troppo bene), parole di pena verso una persona colpita in maniera così improvvisa, e di stima verso l'atteggiamento fiero che questa persona (Lei, Onorevole signor Presidente) ha assunto subito dopo essere stato colpito al volto (uscire dall'auto blu che doveva portarLa dritto in ospedale per cercare con lo sguardo il suo attentatore, ecc...). Questo l'ha detto Sabina Guzzanti e io, come già scritto, mi associo completamente, se non altro perchè in quello che è successo non riesco a vedere altro che un uomo di quarant'anni, che pare abbia seri problemi psichici, che tira a un uomo di trent'anni più anziano di lui un oggetto contundente, pericoloso, glielo tira in faccia, a tradimento, rischiando di causare una tragedia di dimensioni ben più grandi di quella cui abbiamo assistito.
Io, Onorevole signor Presidente, sono una persona semplice, e in questa vicenda non riesco a vedere altro che questo: c'è una persona che lancia un oggetto in faccia a un'altra persona, e quest'ultima rimane ferita, con le labbra spaccate, il setto nasale fratturato, due denti rotti, qualche otturazione saltata, varie escoriazioni sul volto. La mia modesta sensazione di pena aumenta a dismisura quando rifletto sul fatto che la persona colpita è ben oltre i settant'anni. Quindi, per quello che può valere, Le rinnovo tutta la mia solidarietà.

Tuttavia, Onorevole signor Presidente, questa vicenda si è tinta di assurdità tali da confinare tutta l'umanità dell'accaduto nelle zone più in ombra della vita sociale del Paese di cui Lei è a capo. D'altronde in questo Paese dovremmo essere abituati alle assurdità, tutti quanti. E sto parlando del distacco, della discrasia, della mancanza totale di punti di contatto tra gli accadimenti reali e la loro rielaborazione socio-culturale. Senza vergogna di voler strafare, siamo tutti buoni (e uso il plurale perchè non posso fare altrimenti, oltre che per senso di comunità, benchè si parli di una comunità troppe volte scomoda ed esecrabile) a improvvisare indagini ermeneutiche degne dell'Ispettor Clouseau. Mentre i medici del San Raffaele erano intenti a suturarLe il labbro inferiore, già si scatenavano negli studi televisivi e nelle redazioni dei giornali i primi sistemi teorici a riguardo. L'infallibile dott. Vespa si era premunito di un oggetto del tutto uguale a quello che Le è arrivato balisticamente sul viso. I primi anatemi: la campagna d'odio, il gruppo De Benedetti, Travaglio, Annozero, la terza rete Rai. Chi sostiene "se l'è cercata", chi ribadisce "terrorista mediatico", chi abbandona l'aula quando parla Di Pietro, chi ha interesse a capire se Rosy Bindi verrà a farLe visita in ospedale, il sottosegretario Bonaiuti che ripete davanti a tutte le telecamere che Lei è "una macchina da lavoro". In un modo o nell'altro, la tendenza è sempre quella a inquinare il nucleo del fatto, a dirottarne la contingenzialità verso una spirale di discorsi che definiamo superflui solo per non cedere alla tentazione di usare il termine "stronzate" (d'altronde Lei saprà perdonarmi il linguaggio colorito).

I suoi collaboratori, Onorevole signor Presidente, si dimostrano sempre più incapaci nell'incarico di comprendere questa cosa così straordinariamente ordinaria che è il Reale. Mi viene in mente l'On. Maroni che preannuncia una stretta sui siti violenti, gruppi su facebook e quant'altro. Evidentemente, queste persone che fanno parte della Sua compagine governativa credono che la realtà sia davvero traducibile proporzionalmente in clic e accessi. Le ripeto: io sono una persona semplice, ma so bene che se fossero vere le congetture che guidano le azioni di questi signori, se i vari gruppi su facebook avessero qualche riscontro oggettivo nella realtà, se la cosiddetta realtà virtuale fosse effettivamente "reale" prima che "virtuale", allora io potrei contare sulla bellezza di quasi 180 "amici" e non dovrei mai sentirmi solo. Certe cose vanno prese con le molle, Onorevole signor Presidente. La realtà virtuale è per l 'appunto "virtuale". Operare determinate spannometrie sociali a partire dai dati virtuali dei social network e senza applicare nessun tipo di filtro è un po' come credere che in questo momento "hai vinto una fantastica BMW, sei il 100.000 visitatore". Non so se mi spiego, ma il discorso non è poi così complicato.

Ora, Onorevole signor Presidente, dai suoi collaboratori non ci si aspetta granchè, e questo non per disistima aprioristica, quanto per una stolida abitudine che ci rende avvezzi a tutto. E che continuino così, poco importa. Il bello è che mentre il mondo accade, loro sono seduti nello studio di Matrix a parlare dell'amore che vince sull'odio, ad attaccare manifesti con la scritta "CUORE AZZURRO... ecco perchè ti odiano...", ad additare i possibili colpevoli di aver instillato tanto odio nella gente.

La verità, Onorevole signor Presidente, è che la gente non è influenzabile da queste cose - non la gente italiana, almeno. La gente italiana firma appelli, partecipa alle manifestazioni, si indigna, si incazza. Ma poi il giorno dopo torna alle sue otto ore, ai gruppi su facebook per assicurarsi che non abbiano cambiato nome e ragione sociale (questo a riprova dell'affidabilità di certe cose a fini analitici), al fantacalcio, a Mourinho, agli spritz, a Fabrizio Corona, ai Cesaroni, a queste cose che rendono così stupidamente reale la realtà. Ma non vorrei essere frainteso: questa è per me solo occasione di analisi - il mio è un guardare, senza giudicare, senza biasimare, senza lamentare alcunché. Siamo un popolo di caproni, Onorevole, ma poteva anche andare peggio: potevamo essere un popolo di pidocchi di caprone, o di scoregge di caprone. Nel Paese di Pulcinella la morale è una questione, non una risposta, non una soluzione: senza in nessun modo atteggiarmi al moralista che non sono, trovo comunque illogica tale forma mentis istituzionale (cosa ne direbbe Kant? Quanto manca per ridurre anche il cielo stellato a un coagulo di chiacchiere inutili buone per l'Ultimora del Televideo?).
Il Made in Italy antropologico, così come de-formatosi negli ultimi trent'anni, è un fallimento umano, sociale, culturale, oltre che morale. Siamo il Paese dell'assenza di merito istituzionale: i meritevoli - quelli bravi davvero, le persone di talento - combattono nella realtà, giorno dopo giorno, e ce la fanno ad andare avanti, ognuno dentro il proprio cono d'ombra. Non incamerano denaro, non operano speculazioni immobiliari, non acquistano SUV per girare nei centri storici delle città d'arte, non fremono per una comparsata in TV: lavorano, si rendono operosi, si danno da fare, esercitano la propria coscienza critica, allenano l'intelligenza. In questo Paese, è stato possibile che un suo collaboratore, l'On. Brunetta, li abbia apostrofati come "culturame". Persone che esercitano la propria facoltà di critica all'esistente; uomini e donne con le proprie idee non necessariamente allineate; operatori della (sotto)cultura non ufficiale che arricchiscono immensamente il patrimonio immateriale delle arti: "culturame". In questo Paese i più grandi impostori siedono ai troni di comando.

Lei, Onorevole signor Presidente, è definitivamente fra questi impostori, per il fatto semplicissimo, reale, evenemenziale, di essere un pubblicitario, un venditore, un imprenditore, di essere pubblicamente qualcosa d'altro rispetto al Suo ruolo governativo. Io non sto tirando in ballo la P2, la lista interminabile di processi, le corruzioni, i conflitti di interessi, gli stallieri, i pentiti (non mi importa la Storia, c'è gente più brava che si occupa di questi aspetti, c'è la magistratura di cui mi fido, c'è il Codice): sto semplicemente facendo chiarezza sul fatto che Lei riveste un ruolo che non dovrebbe essere Suo. Ed è questa distorsione delle cose che sta alla base della capronaggine di una nazione che inspiegabilmente l'ha eletta democraticamente (lo spavento è questo, Onorevole: è la democrazia, in questo caso, e NON la sua assenza, è il consenso volontario, e NON la sublimazione di un broglio socio-psicologico; quello che non torna è che la maggiornaza degli italiani abbia effettivamente eletto Lei a capo della coalizione di governo in elezioni libere). Noi siamo dipendenti dalle distorsioni dell'immagine e della comunicazione: siamo dipendenti dalle deformazioni delle appendici sensoriali dei fatti che semplicemente accadono. Non è solo la TV, ma anche la nostra predisposizione a fare in modo che la TV commerciale da Lei lanciata, in piena epoca da craxismo rampante, si sostituisca ai filtri con cui abitualmente esercitiamo le nostre scelte critiche sull'esistente. Noi non siamo un Paese libero dal momento in cui abbiamo perso la capacità di scegliere la realtà (la Realtà) come bacino critico da cui trarre un significato da conferire all'Esperienza. Noi esperiamo l'esistente seduti sul divano, viviamo solo delle parvenze di Vita: navighiamo, chattiamo, guardiamo quintali di fiction oggettivamente disgustose, mandiamo sms gratis, è tutto intorno a noi. E infatti i suoi collaboratori fanno una confusione tremenda fra le istanza della Rete e quelle della società reale.

Il modello da Lei imposto in questi ultimi trent'anni, Onorevole, è un modello di surrogazione dell'esperienza. Ne risulta che siamo tutti svuotati, insoddisfatti, infelici; e l'infelicità, che può essere sì preziosa ma solo come giusto contraltare all'eccesso euforico di felicità gratuita, ci si para davanti come unica alternativa emozionale. Io sono una persona semplice, ma la vedo così: i governi, i poteri, le istituzioni, indipendentemente da qualsiasi credo politico-filosofico-economico possano seguire, devono lavorare unicamente per la felicità della collettività. Ora: al di fuori delle svariate mura delle Sue svariate proprietà, Le risulta per caso un disavanzo di felicità in questo nostro Paese? Le sembra una nazione felice quella che inizia la digestione, la sera, guardando sul primo canale della TV pubblica queste persone che si mettono a piangere perchè hanno appena scartato il pacco con i 500.000 euro e in ballo rimane solo il coccodrillo? Va da sè che la felicità della collettività è interconnessa con la felicità, la realizzazione, la buona occasione del singolo. La invito a chiedersi, Onorevole, se in Italia si verifica tutto ciò: senza sorrisi forzati, senza ansie da indice di gradimento, senza autoinvestirsi a proclamatore della pubblica tranquillità - si chieda se siamo felici. Ci provi, almeno.
Fatto? OK.

Lei, Onorevole signor Presidente, è una persona di indubbio carisma, e il carisma genera sentimenti forti. (Questa l'ho sentita ieri sera da Galimberti.) Ci sono decine di milioni di persone che La amano, perchè Lei è un presidente "con le palle", perchè Lei è il migliore in 180 anni, benché bersagliato dalla magistratura e dagli altri milioni di italiani che invece la odiano - e La odiano, gli Altri, forse per gli stessi motivi, ai quali si possono aggiungere, in maniera molto intuitiva: la Sua sbruffonaggine, il Suo non voler sottostare alla Legge, il Suo bonapartismo alla milanese, la mancanza di trasparenza di molti capitoli del Suo passato rampante, le Sue amicizie equivoche, il Suo potere mediatico, questa Sua realpolitik in odor di mafia e tutto il resto, che ripetere sarebbe ormai una forzatura. Io credo che molti italiani siano arrivati a odiarLa per quello che Lei rappresenta: l'arrivismo, la menzogna, l'apparenza, il culto dell'immagine, la dipendenza dalla popolarità, l'incoerenza sul piano umano e istituzionale.
Ma io credo, Onorevole, che sia semplicemente arrivato il momento di ribaltare i piani semantici, ossia: Lei non rappresenta, Lei è rappresentato; Lei non è un simbolo, Lei un'allegoria; e infine Lei non è la causa, perchè Lei è l'effetto.

L'effetto della nostra costitutiva e genetica abilità nell'arrivare tardi agli appuntamenti con il Progresso, l'effetto del nostro lassismo indifendibile, della nostra mancanza di midollo, del nostro vuoto politico. L'effetto. Punto. Non la causa.
Noi ci siamo meritati tutto ciò, e continuiamo a farlo giorno dopo giorno. Non ci fregherà mai e poi mai di indagare i perchè di tutto questo. Ognuno si becca ciò che si merita. Noi ci siamo meritati i Suoi scherzi internazionali, le inchieste di Repubblica, le leggi ad personam, fannulloni Vs Cesaroni, la D'Addario, i/le trans, Cicchitto che va in TV, la Santanchè che va in TV - tutto, davvero tutto quest'universo di nullità. (Non mi costringa, La prego, a proseguire nell'elenco.)

Vede, Onorevole signor Presidente, da persona molto semplice io avrei di gran lunga preferito essermi meritato una statuetta in faccia, sapendo però che fuori dall'ospedale avrei comunque trovato un Paese intelligente.

Colgo l'occasione per augurarLe un Buon Natale, e un felice Anno Nuovo.

Cordiali saluti.
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mercoledì 16 dicembre 2009

Invernosimile

D'inverno,
fili d'erba e latrati.
D'inverno appena accennato,
la prima passata di brio grigio
misto a sole incerto,
la prima mano di tinta incolore
su tela disabitata.

E così, tonto,
mi dò al vento in tecnica mista.

Cenere.

Polvere.

Nuvola d'ossa.

Colpevole di dubitare il reale
divampo in polemica sterile,
come vuoto a perdere
mi sbronzo coi profeti
che stuzzicano i grugni divini.

Mastico il freddo
sperando nell'innocenza dei tempi,
ma, come serpe,
quest'innocenza imposta
striscia in bocca ai neonati
e come rabbia
scaturisce in conati.

D'inverno, appena accennato,
ma il sangue gela al sol pensiero
di render mite il mio letargo.
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martedì 15 dicembre 2009

Capirci una sega

Al sorger del sole
il blu delle vene riemerge,
le linee ambrate dei seni
ridisegnano il giorno.
Il piegarsi degli arti
lieve e onirico adombra
dove il piacere in rivoli
si sdraia contratto.

La sua gelosa incarnazione
mi fa piangere e ridere.

Cattivo d'abito mi sveglio,
chiamo a me cento cani,
cento gatti, cento topi
e, divertito,
guardo combattere
la santa trinità dei bambini:
rischiando di capirci poco,
perchè gli opposti pare possano amarsi,
nonostante l'abbraccio ch'essi cercano
sia lo stesso che saprebbero darsi da sè.
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lunedì 14 dicembre 2009

Il cerchio rosso

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Prima della lettura: lo scritto che segue è scaricabile e stampabile da questo pdf. Nessuno avrà da ridire se per salvare le vostre diottrie rischierete di contribuire alla deforestazione del globo. Tuttavia, usare carta di riciclo è un gesto di intelligenza e di civiltà.
Buona lettura.
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Cos'è stato.

Sto ancora respirando, sono in piedi, voglio sedermi, voglio andarmene.

Queste persone. Si è già fatta notte. Queste persone sono bagliori: mi accecano. Mai vista una notte così abbacinante. Abbacinante. Le persone sono solo le mani. Le mani con i fogli e i libretti e i volantini. Sto firmando una brochure: quante ne ho firmate. Queste persone mi chiamano per nome. Le loro mani mi chiamano per nome. Chiamandomi per nome mi allungano carta e penna. Scrivo il mio nome tante di quelle volte che adesso è solo uno scarabocchio. La B che sembra un cuore a metà. Il mio autografo come un ECG. Un folto di mani e tronchi di braccia, tutto qui. Fogli di carta, volantini, brochure, penne. Vogliono il mio nome. Una selva di teste e cappelli, adesso che è inverno ed è freddo e io che non sento nè caldo nè freddo. Il mio nome.

Ho gli occhi bollenti e le luci sono distorte. Vedo lampi istantanei a distanze ravvicinate, troppo. Sopra le teste e in mezzo alle palle degli occhi delle persone che chiedono il segno del mio nome. Le bocche aperte sono specchi deformanti. Sono buchi di carne che inghiottono altra carne: è tutto un bagliore di escrescenze cromatiche - nero, lucido di denti e saliva, riflessi di capigliature seriche, tinture chimiche, riflessi di pubbliche illuminazioni su superfici sintetiche, migliaia di unghie su cui sbattono i fari che gettano luci microscopiche su questo ovale deformato che ho davanti. Questo sono io. Unghie luccicanti, colletti di camicie luccicanti, echi di cromatismi dissociati. Volti luminosi e opachi. Sono io. Sto ancora in piedi. Queste sono le stelle. Ho una penna in mano: non ce l'ho più. Caduta. Sono io. Io e le stelle, io e la penna caduta in terra, io e il mio nome e le facce, e gli occhi fuori dalle orbite, io e le unghie.

Che colore strano, è un cromatismo di grigi: gli abiti della mia scorta, i capelli tagliati cortissimi sui crani lucidi e scuri. In TV si vedrà tutto grigio, tranne il cerchio rosso. Le riprese saranno scure, rovinate, amatoriali. Dentro il cerchio rosso: pezzi di teste, cappelli, pezzi di gente. Un braccio alzato con in mano qualcosa di indefinito. Tutto il quadro è impastato. Al ralenti la scena sarà immobile finchè il braccio non si muoverà verso il centro del cerchio rosso. Poi taglierà su di me, dentro l'auto, mi portano via. Questa sarà l'immagine.

Io e le unghie. Le unghie. La luce sintetica diffratta in milioni di microluminescenze: mi viene a nausea. L'odore è quello del ferro, sa di metallo scaldato, una materia fumosa. L'esalazione di me. Il cuore martella, mi sfonda le orecchie, ma il torace non lo sento più. Il cuore mi batte da dentro la bocca, ce l'ho fra i denti. Il massiccio facciale, e dietro il mio cuore. Mi apre i timpani, rimbomba nella testa, ma ce l'ho in bocca, sotto il naso, sotto gli occhi che pure pulsano e si inondano di liquidi ad ogni battito. Gli occhi, e sotto: il mio cuore. Che pompa sangue che esce dalla bocca e si indurisce sul muso e mi arriva al naso e sento il ferro. Il cuore, gli occhi, il naso, il ferro, la bocca, il sangue, le unghie. Ho freddo alle mani, sento formicolare lungo le braccia una debolezza che sembra drogata. Dentro la bocca un impasto di saliva. Schegge di denti. Sono io. Io? Non mi riconosco. Perdo i sensi? Non ho più il senso dei miei sensi. Il cuore che mi batte dentro le labbra aperte e tagliate. Pompa. Sono frammentato. Il sangue secca sul mio viso e impastato di muco e lacrime si riaddensa, di continuo.

Questa gente che urla. La luce. Ho il volto in fiamme. Vedranno il cerchio rosso. Il volto insanguinato, sporco, oltre il vetro lucido dell'auto. Ci saranno speciali dei TG, approfondimenti, la dialettica politica ferma a un vicolo cieco, l'opera di uno psicolabile isolato, un esecrabile gesto di disperata inciviltà, la solidarietà di tutti.

Portatemi via.
Al San Raffaele.
Chiamate Zangrillo. _____________________________________________________________

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venerdì 11 dicembre 2009

Pausa pranzo

"Li vedi quelli lì? Sono avvocati. Li riconosci dalle scarpe nere."

E la voce grossa, in centro, nella passeggiata elegante: si snoda su percorsi disegnati mille anni fa. Nel frattempo altri percorsi attraversano i centri gastrici. C'è tutta una simmetria fra interno ed esterno in questa concezione del mondo budellare. E gesticolano come primati deteriori: sono anelli di congiunzione fra l'Uomo e la degradazione dello stesso. Sono questo tempo: aloni di sigari cattivi, ammuffiti, secchi come quel che resta della pelle delle mummie, fumano malissimo pensando di guadagnare stile e compostezza, le scarpe sempre nere e ogni giorno più lucide avanzano sui lastricati di una città lurida in pieno collasso stellare. Parlano urlando, ma senza scomporsi. Sanno il Disegno Politico, avanzi di chiacchiere di Palazzo, i riflessi deformati sulle vetrine delle boutique in mezzo alle cravatte di Aspesi che andranno in saldo fra un mese. Avanzamenti di carriera. Organigrammi. Cappotti di un taglio osceno. Vetrine di Rolex e Philippe Patek. Le Ore del Mondo.

Punti di pressione per farli esplodere: immàginateli sprizzare sangue, come geyser ribollenti di technicolor (è qui che dovrebbe tornarti in mente Pierre Clementi, il montaggio epilettico, la luce abbacinante) prima di cadere, come corpi morti cadono, come corpi morti muoiono, espellere sangue e bava e muco e succhi enterici, e dilavare la pavimentazione già sommersa di guano color metano, indurito come una corteccia. Cadono a terra, sfinite, le borse in cuoio e tessuto tecnico, feticci dell'executive management stipate di carta straccia. Schizzi che ti arrivano in faccia. Il povero cristo all'angolo che continua a suonare Strangers in the night con un violino in fintolegno che ha lo stesso suono dell'isteria. Niente pece sul suo archetto. Rivestito anche lui di schizzi, e così pure i turisti che hanno ora e sempre la stessa faccia sospesa fra lo spaesamento e la sufficienza. Si sparge un odore mefitico che sa di intestino. Le auto blu, il noleggio con conducente, la cupola sfondata del Pantheon: è tutto invaso di rosso, un'emorragia intestinale, lavica, si condensa pian piano fino allo stato semi-solido.

Immàginati. C'è sangue pressoché ovunque ed è una giornata di sole e il clima è secco e sei vestito male per l'occasione. La gigantografia tridimensionale di una masticazione approssimativa: un pensiero impossibile prima della scoperta delle Americhe.

Quel che resta sono i corpi che una volta erano corpi e adesso sono solo sacchi vuoti di tessuti slabbrati. Stanno svaporando: la vita che cola via, fossile. Una strage corporativista.
Ti senti bene, senti la febbre sui polpastrelli, gli occhi salini.

Poco prima, in bagno, tenendoti l'uccello fra indice pollice e anulare hai sentito il getto di orina più caldo, rotondo, ammonico. Il colore virato in influenza.

Si chiamerà VIVE, e non sai perchè usi il maiuscolo. E cioè: VIVE e non "vive" - è un segno assottigliato, segnale del nulla, un promemoria. Ti serva da discrimine. Ti serva da epica minima. Una concatenazione automatica di pensieri inerti. Che giacciono, che stanno - e basta.

Finisci, getti via la carta nell'apposito contenitore. Sei una persona educata.
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domenica 6 dicembre 2009

Work in progress

Appunto.
Siate pazienti.
Arriveranno presto scritture dedicate all'esistente orbitante attorno alla musica e al suono che ci portiamo dentro le orecchie e dentro la testa.
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