lunedì 21 giugno 2010

Roberto Saviano, l’annosa questione, l’iconizzazione. Alcune riflessioni molto marginali tagliate con l’accetta

È degli ultimi periodi la questione Saviano-Gomorra in relazione a eventuali detrattori e inviti a lasciare la scuderia Mondadori per i motivi che riguardano quella che è passata alla storia più attuale della Repubblica delle Lettere come la “annosa questione”. Mi riservo di fare poche riflessioni ai margini di queste polemiche.

Inizierò dall’annosa questione: uno scrittore che con la sua opera vada a combattere il sistema di valori oggi denominato “berlusconismo”; uno scrittore che faccia scrittura civile, che apra la consapevolezza all’interpretazione del mondo per auspicare, attraverso la propria opera, la trasformazione dello stesso; uno scrittore il cui valore si elevi ben oltre il valore artistico di quanto scrive e vada a incarnarsi invece in una trasmissione di pensiero che implichi il “fare”, il “movimento”, la “presa di coscienza” – può uno scrittore del genere pubblicare per la casa editrice di proprietà del Presidente del Consiglio? No, no di certo, no che non può. O meglio, ci si trova di fronte a un clamoroso paradosso. E questo per ragioni così semplici da essere sconcertanti: Silvio B. incarna la colonizzazione dell’umano per mezzo di un’ignoranza talmente narcisistica da essere onnicomprensiva; Silvio B. è il leader della coalizione di centro-destra in Italia; Silvio B. sta alla cultura (qualsiasi cosa significhi “cultura”) come le gemelle Kessler stanno alle gemelle di Shining, o come Apicella sta al punk; Silvio B. è il punto di fuga di un conflitto di interessi che rende questa nazione vittima di una dittatura mediatica strisciante e malcelata, e questo conflitto di interessi si innesca nella compenetrazione oscura fra politica e mondo editoriale; Silvio B. ha un passato piduista e un presente stracolmo di rinvii a giudizio (spesso archiviati) per rapporti con il mondo mafioso e/o camorrista; Silvio B. inneggia alla più bieca stupidità; Silvio B. propugna un mondo di Veline e Amici; Silvio B. è l’allegoria vivente del processo di reificazione mercantilistica della cultura e/o dell’editoria, Silvio B. è andato in giro con una bandana bianca dopo essersi trapiantato i capelli. Eccetera eccetera eccetera.

Ma basterebbe solo la seguente osservazione per comprendere l’entità del paradosso annoso: Silvio B. ha detto che adesso la camorra è famosa per colpa di Saviano.

E dunque, circoscriviamo la domanda: ha senso che Gomorra di Roberto Saviano sia stato pubblicato da Mondadori? No, non ha senso. Come può non aver senso il fatto che molti libri di Genna siano stati pubblicati da Mondadori (e che d’ora in poi saranno pubblicati da Einaudi Stile Libero), e ancor meno senso ha il fatto che la stessa collana Strade Blu ha acquisito i diritti di traduzione e pubblicazione in Italia dell’opera omnia di Ernesto Che Guevara (prima in mano a Feltrinelli – anzi no, Feltrinelli pubblicava Che Guevara in buona coscienza senza devolvere nulla a eventuali detentori dei diritti d’autore [vox populi]), né hanno senso i libri dei Wu Ming per Einaudi. E io credo che anche un tipo schivo come Chuck Palahniuk debba essere informato su chi sia il suo editore in Italia, e così Dave Eggers, e Ohran Pamuk. Anche Erri De Luca ha pubblicato qualche titolo per il gruppo Mondadori, e Valerio Evangelisti. E Moresco. E Gratteri. (E D’Alema? Vogliamo parlare di D’Alema pubblicato da Berlusconi? Ok: D’Alema ha procurato ben altri problemi, lasciamolo stare.) Mi sa che resterebbero solo Bruno Vespa e Fabio Volo.

Quindi: il paradosso Saviano-Gomorra per Mondadori apre scenari che definire assurdi sarebbe a dir poco ingenuo. L’annosa questione è una questione rizomatica. Un rompicapo. La soluzione suggerita dai Wu Ming (il sistema va combattuto dall’interno non per una questione di prassi metodologica o di velleitarismo estetico, ma per una necessità di tipo semantico, e cioè: l’unico modo per combattere il sistema è combatterlo dall’interno perché non esiste un esterno al sistema) è buona, o quantomeno è pratica, e giustifica determinate scelte con un metodo che sta tra il realismo e il situazionismo, dove è realismo suonare al citofono della villa di Arcore, farsi aprire la porta e farsi accompagnare in salotto, ed è situazionismo abbassarsi i pantaloni e cacare sul divano – più o meno così. Ci sta, io da parte mia non ho nulla contro questa soluzione, per quel nulla che vale la mia posizione di semplice osservatore distratto. Anzi: è la soluzione che sotto molti aspetti recupera un senso a certe logiche editoriali che altrimenti non dovrebbero avere senso, come nell’elenco tremendamente parziale di cui sopra – e Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di dare un senso alle cose. Certo, può sembrare comodo stabilire un modus operandi della militanza che parta da un assunto interpretativo di tipo aprioristico – “non c’è nulla di esterno al sistema, è tutto interno ad esso” – ma insomma. Io la vedo bene. Anche se è ovvio che determinati autori, che amo, vorrei poterli leggere pubblicati da determinati editori, che amo ugualmente – ma qui siamo dalle parti di un narcisismo del lettore che è meglio tener fuori da questo casino.

Torniamo a Saviano, alla luce dell’annosa questione: gli è stato chiesto esplicitamente di abbandonare la Mondadori, sono nate discussioni accese in Rete, gruppi su facebook e chissà quante altre mozioni. Ora, questa può essere una richiesta legittima, se non fosse contingente e in qualche modo manchevole: a quanti autori bisognerebbe rivolgere la stessa proposta? Sarebbe un lavoro stremante, e soprattutto circoscritto, e privo di una visione allargata. Secondo me, questa visione allargata la si conquista nel momento in cui si cede il testimone del paradosso da Saviano (e Gratteri, e Genna, eccetera) a Berlusconi. Il Paradosso Autentico, il Problema Strutturale Profondo da cui si dipartono i singoli problemi di superficie, ciò che non torna nell’annosa questione, è la persona dell’editore, non la scuderia degli scrittori. E difatti, nella persona dell’editore questo paradosso si allarga a macchia d’olio, si sfibra fino a trasformarsi, migrando concetti e riferimenti dall’editoria alla politica, nel problema dei problemi della politica istituzionale: il conflitto di interessi. Quante questioni si risolverebbero nel non avere Saviano in Mondadori? Una, forse: quella di Saviano in Mondadori. Quante invece se ne risolverebbero nel non avere Berlusconi in Mondadori? Non so contarle. Ma il fatto è che non si può chiedere a Berlusconi di lasciare la Mondadori come si è fatto per Saviano, e qui cade ogni mia analisi.

All’ordine del giorno è anche la questione dei cosiddetti detrattori di Saviano. Un nome su tutti: Alessandro Dal Lago, e il suo libello Eroi di Carta, edito da ManifestoLibri. (No, Emilio Fede non merita che si spendano parole). Essenzialmente, si tratta di una critica alla trasformazione di Saviano in eroe, o icona, o modello, o simbolo. Cosa significa questa trasformazione? Attraversiamo un periodo di debolezza culturale generale, di deprivazione del senso, e in simili occasioni la coscienza collettiva richiede un’immagine iconica, una figura su cui attuare una sorta di transfert sociale, un simulacro che con la sua forma dia l’illusione di riempire il vuoto di sostanza. È vero, dunque: una nazione felice non ha bisogno di eroi. Ma questo è un periodo di profonda infelicità, e non è pertinente, in questa sede, indagare le molteplici concause di questa infelicità.

Io credo che in Italia non esista un modo intelligente, realmente partecipativo e militante, di costruire delle figure eroiche. Al contrario, mi sembra proprio l’iconizzazione di alcuni personaggi una causa scatenante del lassismo morale in cui naufraghiamo, laddove ci si sente autorizzati a delegare le problematiche e il compito di affrontarle all’eroe di turno, mettendosi in pace con la coscienza, dicendosi “Ok, adesso c’è questo qui, sto tranquillo, ci pensa lui, io non devo fare altro”. Se c’è un modo di ammazzare il messaggio di uno scrittore come Saviano, se esiste una forma di cristallizzazione iconica attraverso il quale far morire l’impegno sociale cui la sua denuncia dovrebbe dare la stura, è proprio beatificandolo. Dire che Saviano è un eroe del nostro tempo – quando la parola “eroe” non sia una semplice iperbole per rendere meglio il livello di sacrificio cui questa persona è giunta dopo la pubblicazione di Gomorra, immolando la normalità della propria vita quotidiana per testimoniare una denuncia gigantesca – dichiararlo icona e simbolo della lotta alla criminalità organizzata, significa marmorizzarlo, disinnescare gli effetti che dovrebbero prodursi dalla sua denuncia, sterilizzare la presa di coscienza contro le mafie in una presa di coscienza puramente cognitiva, priva di un affondo reale.

Chi è Roberto Saviano? Uno scrittore, un giornalista che ha avuto il coraggio di scrivere nomi e cognomi in un libro che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, una persona che in seguito è stata condannata a morte dalla camorra, e che per questo ha dovuto rinunciare a una vita normale. Un eroe? Può darsi, purché nel definirlo eroe non gli deleghiamo la nostra stessa presa di coscienza, purché non ci basti il suo essere eroe, purché stiamo attenti alla sostanza del Saviano-scrittore-per-bisognosi-di-messaggi e non alla forma del Saviano-icona-per-bisognosi-di-eroi. Altrimenti, cadremo ora e sempre nel tranello della vuota rappresentazione mediatica, e Gomorra rimarrà solo un best-seller, alimentando le casse della Mondadori (ecco: è tutto interrelato, dunque – iconizzare Saviano rende anche più difficile sottrarlo all’annosa questione). D’altronde di magliette di Che Guevara è piena la terra.

Credo che la posizione di Dal Lago, in fin dei conti, sia questa. Credo che Dal Lago aggiunga molto alle riflessioni su Saviano, non togliendo nulla, alimentando semmai la discussione aperta circa il valore della scrittura civile, con tutte le possibili implicazioni del caso. Io ci sto: e voi?

(Ah, certo: adesso mi direte anche di Daniele Sepe e del suo becero rap anti-Saviano. E cosa posso dirvi: enorme delusione verso un buon musicista, sconcerto per un testo che definire cafone sarebbe un complimento, ghiaccio nel sangue per la superficialità di un approccio che prosegue la terrificante linea ideale dei neomelodici che inneggiano all’onore dei capiclan. Disgusto, parecchio. E poi il CD di Sepe pubblicato dal Manifesto, e qui si aprirebbero altre annose questioni, solo spostate di baricentro, e allora vaffanculo – ditemi voi se si può vivere in mezzo a questi cortocircuiti.)
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