lunedì 20 settembre 2010

Grinderman: Grinderman 2 (Mute/ANTI-)

Questa recensione è apparsa su vitaminic.

Te ne accorgi dai loop in reverse che accompagnano l’arpeggio introduttivo, prima dell’ingresso col fucile spianato della linea di basso: il secondo capitolo del progetto Grinderman ha un livello di produzione ben diverso dal primo, e se hai seguito la cosa capisci bene che Lazzaro, nel frattempo, ha fatto la sua parte. Grinderman 2 è, ancora, una versione aggiornata del blues mescolata con quell’attitudine post-punk tutta caveiana, come eravamo abituati dai Birthday Party, per restare in tema.
Tutto il disco si tiene in un amalgama sonoro che ammorbidisce le asperità più ruvide e garage del primo album. La qualità delle distorsioni, il tutto pieno, l’atmosfera bruciacchiata e mefitica e lontanamente psicotica, quel rullante aperto e profondissimo, i dettagli degli arrangiamenti, la compressione del basso, gli archi nella bellissima When My Baby Comes, il pitch-shifting di Bellringer Blues, i cori immancabili e splendidi, la stessa voce di Nick Cave che sembra – e dico “sembra” – tornare agli antichi fasti baritonali: Grinderman 2 è un disco prodotto con perizia eccellente, è un disco rock che ti dice come dovrebbe suonare un disco rock nel 2010.
Poi, e solo in un secondo momento, è anche un album di Nick Cave e di alcuni dei suoi Bad Seeds, che si divertono come pazzi in quello che sanno fare meglio, mettendo da parte qualsiasi dimensione ulteriore della musica (dimensioni che Nick Cave ha frequentato fino a The Boatman’s Call, tanto per capirci), chiudendosi in studio con una pila di dischi impolverati e un po’ di whiskey fin troppo buono. E, certo, mandando tutti affanculo.

Ora: se siete arrivati fin qui sapete esattamente cosa cercare, e d’altronde non sarò io a scrivere banalità del tipo “[è come un] pugno allo stomaco”, “[certi passaggi fanno] tremare le vene dei polsi”, o altre amenità buone per i fan dell’ultima ora che non conoscono neppure Murder Ballads. Il progetto Grinderman si definisce da sé, e questo secondo episodio – a tratti bellissimo, mai banale, addomesticato ma non per questo meno nervoso, con lo sguardo sempre rivolto a una qualche concezione molto larga del Male Profondo – è esattamente quello che era lecito aspettarsi dopo il primo. Voglio ripeterlo: è un album Potente, Viscerale, Suonato Bene/Registrato Meglio/Mixato Da Paura/Masterizzato Coi Controcazzi. Però ho questa sgradevole sensazione di starmene qui a cliccare su un misero tasto Mi Piace, e lo sa solo il diavolo quanto Nick Cave meriterebbe altre argomentazioni.
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