lunedì 14 dicembre 2009

Il cerchio rosso

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Prima della lettura: lo scritto che segue è scaricabile e stampabile da questo pdf. Nessuno avrà da ridire se per salvare le vostre diottrie rischierete di contribuire alla deforestazione del globo. Tuttavia, usare carta di riciclo è un gesto di intelligenza e di civiltà.
Buona lettura.
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Cos'è stato.

Sto ancora respirando, sono in piedi, voglio sedermi, voglio andarmene.

Queste persone. Si è già fatta notte. Queste persone sono bagliori: mi accecano. Mai vista una notte così abbacinante. Abbacinante. Le persone sono solo le mani. Le mani con i fogli e i libretti e i volantini. Sto firmando una brochure: quante ne ho firmate. Queste persone mi chiamano per nome. Le loro mani mi chiamano per nome. Chiamandomi per nome mi allungano carta e penna. Scrivo il mio nome tante di quelle volte che adesso è solo uno scarabocchio. La B che sembra un cuore a metà. Il mio autografo come un ECG. Un folto di mani e tronchi di braccia, tutto qui. Fogli di carta, volantini, brochure, penne. Vogliono il mio nome. Una selva di teste e cappelli, adesso che è inverno ed è freddo e io che non sento nè caldo nè freddo. Il mio nome.

Ho gli occhi bollenti e le luci sono distorte. Vedo lampi istantanei a distanze ravvicinate, troppo. Sopra le teste e in mezzo alle palle degli occhi delle persone che chiedono il segno del mio nome. Le bocche aperte sono specchi deformanti. Sono buchi di carne che inghiottono altra carne: è tutto un bagliore di escrescenze cromatiche - nero, lucido di denti e saliva, riflessi di capigliature seriche, tinture chimiche, riflessi di pubbliche illuminazioni su superfici sintetiche, migliaia di unghie su cui sbattono i fari che gettano luci microscopiche su questo ovale deformato che ho davanti. Questo sono io. Unghie luccicanti, colletti di camicie luccicanti, echi di cromatismi dissociati. Volti luminosi e opachi. Sono io. Sto ancora in piedi. Queste sono le stelle. Ho una penna in mano: non ce l'ho più. Caduta. Sono io. Io e le stelle, io e la penna caduta in terra, io e il mio nome e le facce, e gli occhi fuori dalle orbite, io e le unghie.

Che colore strano, è un cromatismo di grigi: gli abiti della mia scorta, i capelli tagliati cortissimi sui crani lucidi e scuri. In TV si vedrà tutto grigio, tranne il cerchio rosso. Le riprese saranno scure, rovinate, amatoriali. Dentro il cerchio rosso: pezzi di teste, cappelli, pezzi di gente. Un braccio alzato con in mano qualcosa di indefinito. Tutto il quadro è impastato. Al ralenti la scena sarà immobile finchè il braccio non si muoverà verso il centro del cerchio rosso. Poi taglierà su di me, dentro l'auto, mi portano via. Questa sarà l'immagine.

Io e le unghie. Le unghie. La luce sintetica diffratta in milioni di microluminescenze: mi viene a nausea. L'odore è quello del ferro, sa di metallo scaldato, una materia fumosa. L'esalazione di me. Il cuore martella, mi sfonda le orecchie, ma il torace non lo sento più. Il cuore mi batte da dentro la bocca, ce l'ho fra i denti. Il massiccio facciale, e dietro il mio cuore. Mi apre i timpani, rimbomba nella testa, ma ce l'ho in bocca, sotto il naso, sotto gli occhi che pure pulsano e si inondano di liquidi ad ogni battito. Gli occhi, e sotto: il mio cuore. Che pompa sangue che esce dalla bocca e si indurisce sul muso e mi arriva al naso e sento il ferro. Il cuore, gli occhi, il naso, il ferro, la bocca, il sangue, le unghie. Ho freddo alle mani, sento formicolare lungo le braccia una debolezza che sembra drogata. Dentro la bocca un impasto di saliva. Schegge di denti. Sono io. Io? Non mi riconosco. Perdo i sensi? Non ho più il senso dei miei sensi. Il cuore che mi batte dentro le labbra aperte e tagliate. Pompa. Sono frammentato. Il sangue secca sul mio viso e impastato di muco e lacrime si riaddensa, di continuo.

Questa gente che urla. La luce. Ho il volto in fiamme. Vedranno il cerchio rosso. Il volto insanguinato, sporco, oltre il vetro lucido dell'auto. Ci saranno speciali dei TG, approfondimenti, la dialettica politica ferma a un vicolo cieco, l'opera di uno psicolabile isolato, un esecrabile gesto di disperata inciviltà, la solidarietà di tutti.

Portatemi via.
Al San Raffaele.
Chiamate Zangrillo. _____________________________________________________________

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